Francesca Cerutti, giovane scrittrice

Francesca Cerruti

Francesca Cerutti, diagnosticata da bambina, ha vissuto la sua fanciullezza in un periodo in cui le condizioni di vita per i celiaci erano molto limitate, gioendo di ogni importante traguardo che negli anni AIC ha conquistato. Il suo carattere determinato la rende ben presto una giovane scrittrice con la pubblicazione del suo primo romanzo intitolato “Noi quattro nel mondo”. Scopriamo un po’ di lei.

Da quanto tempo sei celiaca?

Ho venticinque anni e sono celiaca da quando ne avevo quattro, in pratica da sempre.

Come hai vissuto la tua vita da celiaca da bambina e adolescente?

Sono diventata celiaca nei primi anni 2000, quando i prodotti e soprattutto i ristoranti per celiaci erano molti meno rispetto a oggi. Abitavo a Gallarate e ricordo che, per anni, per poter andare in pizzeria dovevo arrivare fino a Legnano. Oggi, per fortuna, la situazione non è più così; ora poi vivo a Milano, che pullula di locali che offrono piatti senza glutine. Quanto alle uscite con gli amici, col tempo ho capito che molto dipende dalla sensibilità e dalla maturità di chi non è celiaco. In adolescenza mi sono spesso dovuta adattare a locali non aderenti al network – a volte perfino portandomi la pizza da casa… una cosa che detesto e che oggi non accetterei più di fare, se non in casi davvero disperati – perché gli altri non si ponevano granché il problema e io forse ero troppo timida per impormi. Con gli amici conosciuti negli anni dell’università, invece, la situazione è radicalmente diversa. Quando si organizza un’uscita, per loro è naturale che sia in un locale dove posso mangiare anch’io. Non troverebbero giusto farmi portare il cibo da casa o anche solo farmi ripiegare su un’insalatina mentre tutti gli altri mangiano la pizza o la carbonara.

Hai avuto difficoltà nella gestione della dieta senza glutine durante i tuoi viaggi per studio o per diletto?

In adolescenza ho fatto diversi viaggi studio all’estero e alla fine è sempre andato tutto bene, ma chiaramente andava pianificato tutto per tempo ed era fondamentale anche la disponibilità degli organizzatori…ricordo per esempio che portavo un bagaglio extra pieno di alimenti senza glutine e in aeroporto dovevo presentare un certificato che attestasse che erano prodotti salvavita. Con una mia grandissima amica, Eleonora, pure lei celiaca, ho partecipato a viaggi studio in Inghilterra, in Francia, in Irlanda, negli Stati Uniti. Ce la siamo cavata alla grande, forse a volte la sola difficoltà era far capire agli altri ragazzi del gruppo che non dovevano mangiare gli alimenti che noi mettevamo nel frigo in comune. L’unica mia esperienza più traumatica è stata in Russia, nel 2016. Arrivata lì, ho constatato che nessuno sapeva cosa fosse la celiachia; la ciliegina sulla torta è stata che l’organizzatrice – italiana, ma che probabilmente aveva sottovalutato la serietà del problema – si era dimenticata di avvisare il personale della struttura dove alloggiavamo. Alla fine me la sono cavata, erano solo due settimane, ma non mi sentivo molto tranquilla all’idea che nessuno avesse mai sentito parlare di glutine o contaminazioni.

Scrivere è sempre stata una tua passione?

Mi è sempre piaciuto inventare storie, ma solo verso i tredici anni ho provato a farle uscire dalla mia testa e metterle per iscritto. In adolescenza ho scritto molto; erano perlopiù sperimentazioni, quasi tutti testi che oggi troverei molto ingenui, ma si deve passare da lì per imparare a scrivere. A diciannove anni ho avuto l’idea per quello che sarebbe diventato Noi quattro nel mondo, il mio primo romanzo, di cui ho ultimato la prima stesura nell’estate del 2017. È ad oggi l’opera più lunga e complessa a cui abbia mai lavorato. È stato pubblicato dalla casa editrice Bookabook nel febbraio del 2020, a posteriori, in un momento piuttosto infelice, visto che di lì a poco è scoppiata l’emergenza Covid.

Di cosa parla il tuo libro?

È un romanzo di formazione, ambientato a Parigi. I protagonisti sono quattro ragazzi poco più che adolescenti – Éric, Océane, Kévin e Lylie –, che all’inizio sono fondamentalmente soli, anche se per motivi differenti; hanno infatti alle spalle storie molto diverse. Che sia per fortuna o per destino, si incontrano e stringono un legame che non avevano mai avuto con nessun altro prima. Si fanno molto bene a vicenda, crescono insieme, imparano ad accettarsi e affrontare una volta per tutte i fantasmi del loro passato. La definirei una storia di amicizia, amore, crescita personale, riscatto… tutti temi che mi stanno tanto a cuore. Sono passati sei anni da quando ho deciso di scrivere questo libro e gli sono ancora molto affezionata. Non è più solo mio, è ormai come un figlio che si è staccato da me e gira per il mondo sulle sue gambe.

Nel tuo libro viene fatto cenno in qualche modo alla celiachia?

No, non ho mai parlato di celiachia né in questo romanzo né in nessun altro mio scritto. In linea di massima preferisco concentrarmi sull’aspetto psicologico dei miei personaggi; non ho mai fatto cenno a particolari diete o regimi alimentari. Penso che tratterei questo aspetto solo se fosse davvero rilevante ai fini della storia e finora non è mai capitato.

Ritieni che la celiachia ti abbia impedito, anche in parte, di perseguire i tuoi sogni o progetti?

Forse solo su una cosa. All’università ho studiato il russo e, come dicevo, in Russia la celiachia è pressoché sconosciuta. Penso che se la situazione fosse stata diversa avrei valutato di passare dei mesi a Mosca o San Pietroburgo per praticare la lingua. Certo, avrei potuto portare scorte di cibo dall’Italia, ma appena fossero terminate sarei stata in difficoltà. Alla fine poi anche la mia carriera ha preso una strada un po’ diversa.

Cos’è per te e per la tua famiglia AIC?

AIC mi dà un senso di sicurezza, in particolare quando vedo il logo sulla porta di un hotel o di un ristorante, a quel punto so di poter stare davvero tranquilla. Associo AIC anche a un appuntamento fisso cui ero molto affezionata, “Buonumore senza glutine”, nei giardinetti di Verghera di Samarate. Era una bellissima occasione di passare del tempo con persone che non ho più modo di incontrare spesso, ma che rivedo sempre con tantissimo piacere. Un appuntamento che è venuto a mancare per via dell’emergenza sanitaria, ma di sicuro ci rifaremo.